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Mario Tozzi nasce a Fossombrone il 1895, trascorsa l’infanzia a Suna sul lago Maggiore, abbandona gli studi scientifici per la pittura, formandosi dal 1913 ai corsi di Majani e Terzi presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, accanto a Morandi, Licini e Pozzati. Compone figure e paesaggi in ambito naturalista. Nel 1915 conquista il premio del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Partecipa alla prima guerra mondiale. Nel 1919 sposa Marie Thérèse Lemaire e nel 1920 si stabilisce a Parigi riannodando il sodalizio con Licini ed entrando in contatto con gli artisti dell’avanguardia italiana nella capitale francese. Attorno al ‘20 si situa una serie di vedute parigine. Tozzi rimane legato alla cultura italiana scrivendo per “La fiera letteraria”. Espone regolarmente al Salon d’Automne, al Salon des Indépendants e alle Tuileries. Dipinge intensamente col gusto di una “divina proporzione” mai archeologizzante e sempre attenta ai dati sensibili, nell’ambito di un realismo dapprima quasi fotografico, poi più sintetico. Nel 1925 si associa al gruppo milanese di Novecento col quale espone alla Galleria Scopinich e alla Galleria Pesaro. Nel 1926, avvocando con chiarezza per sé e per i colleghi connazionali l’identità italiana come una bandiera, con gli “Italiens de Paris” Campigli, Severini, de Chirico, De Pisis e Savinio fonda il “Groupe des Sept”. Nell’ambito di “Novecento”, Tozzi si lega in particolare a Salietti. Espone alla Prima mostra di Novecento alla Permanente di Milano, porta due opere alla mostra del gruppo alla Biennale di Venezia e si fa promotore della conoscenza e dell’attività espositiva di “Novecento” a Parigi e all’estero: dal 1928 al 1933 si susseguono varie mostre dal titolo “Italiens de Paris”. Attorno al gruppo gravitano Giacometti, il musicista Casella, Ungaretti e Comisso. Nel 1927 espone con Novecento ad Amsterdam; nel 1928 espone alla rassegna “Les artistes italiens de Paris” al ‘Salon de l’escalier’ e si afferma all’Esposizione di Darmstadt “Der schöne Mensch”. Nello stesso anno espone alla Biennale di Venezia e vi presenta Chagall, Marcoussis, Foujita nella rassegna “L’Ecole de Paris”. Nel 1929 espone alla Seconda mostra di Novecento alla Permanente di Milano ed allestisce alla galleria Georges Bernheim di Parigi una personale che incontra l’attenzione di Picasso. Nella capitale francese Tozzi s’afferma come una delle personalità artistiche più in vista. Le sue opere entrano nei maggiori collezioni museali francesi e straniere. Dagli ultimi anni Venti, nella pittura di Tozzi si evidenziano due novità: moltiplicazione degli spazi, sovente inseriti uno nell’altro con effetti di irrealtà, e maggior plasticità delle figure. La tecnica offre una materia granulosa che suggerisce la tridimensione. Tozzi cita l’iconologia dell’antichità classica con effetto illusionistico da bassorilievo. Le figure sono immobili, ieratiche, statuarie: geometrizzate le fisionomie dei volti ovoidali e dei torsi cilindrici. Sussistono ampi riferimenti alla metafisica nella rarefazione delle atmosfere, nell’aura di sospensione nelle quali la composizione si contempla tra quinte architettoniche dechirichiane, nelle citazioni del repertorio iconografico, nella Finzione del quadro nel quadro. Tozzi stesso contribuisce a livello teorico alla definizione dell’arte di Novecento con scritti su ‘Presse’ e su ‘Cahiers d’art’. Alla metà degli anni ‘30 una malattia ne interrompe l’attività pittorica. L’artista, nel momento del successo, è costretto a riti- rarsi in Italia, a Suna. Nonostante ciò, Tozzi compie collabora all’apparato decorativo del Palazzo di Giustizia di Milano con l’affresco “Adamo e Eva dopo il peccato”, opera in seguito rinnegata. La Biennale di Venezia gli accoglie tredici opere nel 1938, due nel 1942; nel dopoguerra, due nel 1948 e una nel 1950. Dopo brevi soggiorni in Francia si stabilisce di nuovo a Parigi nel 1974 dove morirà nel 1978.
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